domenica 23 gennaio 2011

Il Cimitero Militare di Redipuglia in un album fotografico degli anni Venti


Filo spinato
Non questi fili ruggine colora: del nostro sangue son vermigli ancora!

Questa didascalia accompagna una delle 45 fotografie pubblicate negli anni 20, in un album edito dall’Ufficio Centrale Cura e Onoranze Salme Caduti in Guerra e destinato al turismo cimiteriale, sorto anche in Italia negli anni immediatamente successivi la Grande Guerra.
La cappella votiva

Le didascalie di questo volumetto fotografico riproducono quelle dettate sulle targhe del primo cimitero di Redipuglia, dal commediografo Giovannino Antona Traversa, da Gabriele D’Annunzio e da altri intellettuali dell’epoca: Alfredo Pastonchi, Vittorio Locchi, Fausto Salvatori.
L’iscrizione è posta in un luogo che possiamo definire “autentico”.
La fotografia del filo spinato, come tutte le altre, venne eseguita dove si era conservata la traccia “reale e visibile” dei combattimenti che avevano opposto italiani ed austriaci.

Bombardieri
Tutte le batterie un solo ardore
Tutte le volontà un nervo istesso
D'Annunzio
L’album, formato 18x24, si apre con una piccola introduzione che racconta la storia del cimiteroa che raccoglie le spoglie di 30.000 caduti.
“E’ diviso in sette settori da viali che dal sommo della collina scendono diritti a raggiera lungo i suoi fianchi. Nei settori le Salme sono disposte in gironi concentrici che hanno in complesso uno sviluppo di oltre 22 km. Per scavare le fosse occorsero, durante quattro anni, 21.000 mine nella roccia viva. Nei primi due gironi, in alto gli Ufficiali: 465, fra cui 3 generali, negli altri i militari di truppa.
Solo 5860 tombe hanno un nome…Questo cimitero non somiglia a tutti gli altri, ma ha carattere militare. Qui non viali coperti di ghiaia, non alberi, non fiori, non verde né ombra, ma l’aspetto sassoso e brullo del Carso, con sterpi e ciuffi d’erba scolorata, e qualche rado arbusto dai fiorellini pallidi come quelli che, nelle assolate petraie, furono l’ultima visione dei morenti. Non, sulle tombe, i consueti simboli cristiani in legno o in cemento, ma tutti i cimeli di guerra diverso l’uno dall’altro. Sopra ogni tomba un’epigrafe o un verso, un motto, un pensiero: voci dei Morti e voci dei vivi.”
I criteri che avevano ispirato la creazione del cimitero intendevano offrire al visitatore o a chi avrebbe soltanto visto quest’album, un’immagine “totale” di quella che era stata la guerra sulle pendici del Carso.
Soldato ignoto
Che t'importa il mio nome? Grida al vento:
Fante d'Italia e morirò contento!
Le fotografie consentivano di vedere e conservare la documentazione non solo delle armi impiegate nelle battaglie, ma anche degli strumenti più moderni di comunicazione e organizzazione di un esercito nella guerra industriale: dal telefono al telegrafo, i grandi riflettori per illuminare la notte, la macchina da scrivere…

 Radiotelegrafia
Passò su queste antenne tutta la nostra storia
dal dì della riscossa
al dì della vittoria


Telefono da campo
Pronti!...Chi parla?...Dolina Amalia!...
E' presa cima 3!...Viva l'Italia!


Macchina da scrivere
Con le mie dita d'ombra sulla vecchia tastiera
Ignoto fante vigilo. C'è in alto una bandiera di luce.
O passeggero, ti sia nella memoria:
siamo ancor pronti a un fulgido messaggio di Vittoria
Fausto Salvatori

Riflettore
Dicea, marciando il fante: Ho, misera fiammella,
che solo a notte fonda mi rischiara in via!
A me perenne, vivida luce è la fede mia:
amor della mia terra, amor d'Italia bella!
L’idea di grande livello di organizzare un cimitero monumentale attraverso gli “oggetti” della guerra e in questo modo ricordare i caduti e lo sforzo dell’intera nazione, era stata del Colonnello Vincenzo Paladini e avrebbe consentito di conservare un documento di cultura materiale unico in Europa. La testimonianza di un tentativo di educazione nazionale.
Mussolini non amava cimiteri di questo tipo, in cui gli oggetti della sofferenza e della morte soverchiavano i simboli della vittoria e della presunta grandezza italiana.
Per questo le cose andarono diversamente.
Il Sacrario Militare di Redipuglia è oggi il più conosciuto e famoso cimitero militare italiano della Prima Guerra Mondiale.
L’immagine delle grandi terrazze a gradoni, la scritta “Presente”, i nomi delle migliaia di caduti, il marmo bianco e abbagliante richiamano l’epoca in cui venne inaugurato: il 18 settembre 1938.
Interno della cappella votiva
La promessa
Con monumenti come quello di Redipuglia, il fascismo celebrava il ricordo dei caduti nella guerra vittoriosa e insieme la sua origine: l’interventismo, il nazionalismo, i combattenti e la vittoria nel 1922 con la famosa frase di Mussolini sull’Italia di Vittorio Veneto che marciava su Roma e presentava il conto.
Era un continuum che si estendeva sino alla proclamazione dell’Impero e ai prossimi appuntamenti di guerra.
I caduti di Redipuglia, richiamati in vita con quel “presente”, porgevano la mano a tutti gli italiani alla vigilia di nuove imprese.
Non la sofferenza e la cruda realtà della guerra, mostrata simbolicamente dagli oggetti fotografati in quest’album, ma il mito dei caduti e degli eroi che alimentava l’idea del primato della nazione.
Alpini
A noi, Fanti del Carso, gloria è dormir vicini
ai puri Eroi dei monti, nostri fratelli Alpini!
Un sogno che sfumò ben presto e a Redipuglia rimase il marmo bianco: la grande distesa oggi divenuta l’immagine-ricordo monumentale più significativa e mistificante della Grande Guerra degli italiani.
Nelle altre nazioni le cose non andarono molto diversamente.
Ci fu, forse, una maggiore sobrietà e prevalse un’ispirazione che si rifaceva a quell’idea della “guerra che mette fine a tutte le guerre”, ma la monumentalità e la rivendicazione della vittoria occultarono i gravi errori nella conduzione della guerra e le menzogne sulle sue finalità che avevano contribuito a provocare un così alto numero di vittime.
Le fotografie mostrano la collina di Sant’Elia come un’altura che il visitatore percorreva per incontrare segni visibili e veritieri della tragedia della guerra di posizione.
Stufa da trincea
Perdono a te, che m'avvolgesti d'acre
fumo nei dì tremendi della bora!
Ora non servi più, perchè alle sacre
fiamme d'Italia mi riscaldo ognora
Nel volumetto, è non è un caso, la fotografia successiva a quella del filo spinato mostra una tenaglia appesa a un filo.
L’iscrizione così commenta: “Se fur vane le pinze, valsero i denti!”.
Pinze
Se fur vane le pinze, valsero i denti!
Qualcuno leggendo queste frasi non resisterà ad un sorriso, tanto è distante questo mondo da ciò che ci circonda. Ma dimentica che per comprendere la tragedia della Grande Guerra, è necessario ricostruire quel mondo e queste fotografie possono essere un utile aiuto.
Marmitta da campo
Un colpo, un grande schianto...e per quel dì
solo di fede il fante si nutrì!
Le frasi che leggiamo sull’album erano figlie di una cultura che aveva considerato la guerra come una potente medicina, una sorta di contro veleno per una società che si credeva inquinata da un progresso verso il quale si provava attrazione e paura e dall’entrata in campo di soggetti nuovi: le grandi masse turbolente e chiassose della civiltà urbana.
Questa cultura di guerra, fatta propria dalla maggioranza degli intellettuali italiani, con l’eccezione di Benedetto Croce, segnò profondamente la vita dei nostri nonni e bisnonni.
Per chi voglia comprendere il clima in cui il visitatore acquistò e sfogliò questo album, può utilizzare internet e digitare il sito dell’Istituto Luce per vedere un filmato datato 1924-1931 e intitolato “Redipuglia. Quindicimila lavoratori milanesi in pellegrinaggio al cimitero di guerra”.
Dura circa sette minuti e comprende riprese cinematografiche realizzate in momenti e anni diversi, si conclude con un discorso (il documento è muto) di Giuseppe Bottai, Ministro dell’Educazione Nazionale e uno dei principali congiurati il 25 luglio 1943.
I lavoratori in gita con le loro famiglie forse è la prima volta che si prendono una vacanza, sostano davanti ai cippi, osservano e commentano gli oggetti della guerra, le croci fatte con le schegge di bombe, affollano la cappella votiva, acquistano album ricordo e chiedono a Bottai l’autografo.
Splende il sole e sembra esserci una grande partecipazione attorno a ciò che il luogo rappresenta.
E la partecipazione non solo è accentuata dal fatto che molti dei visitatori hanno fatto la guerra e combattuto su quelle pendici oppure hanno perso delle persone care, ma anche perché il luogo è un vero e proprio museo a cielo aperto della guerra finita da pochi anni.
Allora gli oggetti della morte potevano essere visti e dovevano far riflettere poi tutto fu coperto dalla pietra bianca e avvolto nel silenzio.
Il Sacrario di Redipuglia oggi-per gentile concessione del Sig. Gianfranco Ialongo

Per chi voglia approfondire la tematica del ricordo della Grande Guerra nei Scrari militari e nei cimiteri, si consiglia la lettura dell'opera di George L. Mosse "Le guerre mondiali-Dalla tragedia al mito dei caduti"

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