venerdì 11 febbraio 2011

Il caso Beltrame Seconda parte


Che immagine offre Beltrame dell’Italia di quel tempo?
Beltrame racconta le notizie secondo una linea ben precisa, dettata dal direttore del Corriere della Sera e che trae sovente alimento dal libro più letto nell’Italia dell’epoca: “Cuore”, di Edmondo De Amicis.
Nell’immagine costruita da Beltrame c’è spesso l’intervento di qualcuno che compie una buona azione o di qualcun altro che si sacrifica per gli altri: un carabiniere, la moglie di un casellante, un salvataggio in mare in cui il protagonista è un marinaio coraggioso che perde la vita, ecc. In questo modo l’immagine riesce a oscurare, in parte, la realtà più cruda di un’Italia in cui sopravvivono profonde ignoranze ed è attraversata da violenti contrasti di classe.
Nonostante ciò, Achille Beltrame e La Domenica del Corriere hanno lasciato una documentazione eccezionale sulla storia d’Italia e che copre un cinquantennio. Lontana da qualunque forma di sperimentalismo pittorico e di avanguardia (come del resto i suoi colleghi d’oltralpe), l’immagine di Beltrame è l’ossequio del potere costituito. Quello degli industriali che il pittore frequenta grazie all’amicizia con l’imprenditore Magno Magni, dell’esercito che nelle immagini viene rappresentato come il garante dell’ordine e della sicurezza dei cittadini e quello della monarchia, perno dell’unità del paese nei momenti più duri, ad esempio in occasione di grandi catastrofi naturali.
Quando scoppia la Prima Guerra Mondiale, Achille Beltrame ha alle spalle l’esperienza di un disegno di guerra che ha documentato i principali avvenimenti bellici di ogni parte del mondo, senza peraltro essersi mai mosso da Milano. Per l’Italia lo scoppio della guerra è preceduto dal conflitto con la Turchia per il possesso della Libia. Beltrame è il cantore di una falsità che si compie in Libia, presentando ufficiali e soldati italiani sempre vincitori in una guerra di conquista che vuole essere anche di civiltà contro l’islam subdolo e crudele.

Le immagini di Beltrame sulla Libia accreditano l’idea che sul serio gli italiani stiano conquistando la quarta sponda: la realtà è molto lontana da ciò che vorrebbero far credere il disegnatore e La Domenica del Corriere.
Coloro che vengono presentati come banditi, sono guerriglieri di un esercito che terrà in scacco per anni le truppe italiane.

Nell’agosto del 1914, le tavole di Beltrame iniziano a raccontare la nuova guerra cercando di far comprendere come questo conflitto sia diverso, nuovo per tanti aspetti e crudele. Le sue immagini riflettono il momento di attesa che il paese sta vivendo e l’incertezza su con chi schierarsi. Anche i tedeschi hanno uno spazio importante nelle illustrazioni e gli eserciti dell’Intesa non sono sempre vincenti.

E’ possibile cogliere momenti di umana pietà verso tutte le vittime del grande massacro che si annuncia come un avvenimento inedito.

La didascalia che accompagna la rappresentazione del lancio dei gas asfissianti sul saliente di Ypres nel 1915, parla di guerra cattiva e la stessa immagine occulta, in parte, la responsabilità tedesca per aver impiegato un’arma vietata dalle convenzioni internazionali.

La guerra di trincea viene documentata in maniera abbastanza onesta, ma gradualmente l’attenzione e la simpatia si spostano sui combattenti francesi e inglesi. Luigi Albertini diventa uno dei maggiori propugnatori dell’intervento a fianco dell’Intesa e quando l’Italia entra in guerra le cose cambiano.


Beltrame presenta il soldato italiano con una serie infinita di istantanee da cui emerge l’impeto offensivo sulle montagne e l’incapacità del nemico austriaco di contenerlo. Se mettessimo in sequenza queste immagini non avremmo mai un momento di pausa, un attimo di sosta per riflettere: quello che conta è l’assoluta dinamicità della guerra e del movimento nelle figure. E’ stato rilevato da tutti gli studiosi che si sono occupati del personaggio, come l’opera di Beltrame sulla guerra sia un lungo film di propaganda per dimostrare che il conflitto è necessario e si concluderà sicuramente con la vittoria finale.

Beltrame non era un pittore, ma un giornalista. Fu un buon giornalista?
Non fu certamente un giornalista libero e indipendente, raccontò la guerra nella maniera in cui volevano che fosse raccontata i suoi editori, ma anche i lettori che andavano convinti su una vittoria immancabile che però non arrivava.
C’è una differenza tra l’operazione compiuta con La Domenica del Corriere e quella di altre riviste che utilizzavano illustratori per raccontare momenti della guerra?
Il pensiero corre subito alla rivista francese L’Illustration e alla grandi tavole di Scott, Jonas, Flameng. L’Illustration raccontava la guerra con fotografie e tavole pittoriche. Quando si apriva la rivista, la prima immagine era quasi sempre una fotografia e non in tutti i numeri comparivano illustrazioni. La Domenica del Corriere è assolutamente seriale: il lettore si trova davanti agli occhi innanzitutto una tavola di Beltrame, apre la rivista, la sfoglia, osserva le diverse fotografie che contiene, la chiude e trova una seconda tavola che pone termine al numero della settimana. Ciò che rimane negli occhi e nella mente non sono le fotografie, ma le due illustrazioni, a volte commentate con didascalie tratte direttamente dai comunicati dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano.
Nelle illustrazioni di Beltrame non c’è il paesaggio di guerra, ma l’uomo che fa la guerra immerso in un paesaggio che è la montagna alpina in cui avviene uno scontro titanico e paragonabile all’altezza delle montagne, anch’esse di dimensione titanica.
In questo senso i disegni di Beltrame volgarizzano il messaggio dei futuristi: la guerra, anche se fa male, è un fatto straordinario e dotato di un fascino avvincente. E infine un altro aspetto di non poca importanza in queste immagini: la violenza. Il combattimento e spesso lo scontro corpo a corpo, è presente quasi nel 90 per cento delle illustrazioni.
Questo tipo di messaggio visivo ha un funzione ben precisa e da non sottovalutare, esso costruisce l’immagine dell’italiano che è capace di combattere e di essere cattivo nella lotta. Queste immagini sono una sorta di riscatto morale per le prove assai scadenti di virtù militari che l’Italia post unitaria aveva dato di se.
L’immagine dell’uomo combattente, in particolare del soldato alpino, su un territorio difficile non solo serve a dimostrare che l’Italia la guerra la sta facendo sul serio, ma che qualcosa è cambiato. E sarà anche la costruzione di questo cambiamento che contribuirà alla formazione del clima di violenza del primo dopoguerra, da cui scaturiranno le squadre fasciste all’inizio degli anni Venti.



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