martedì 8 gennaio 2013

Gabriele D'Annunzio e l'inquietudine italiana del primo dopoguerra Presentazione in occasione del 150 mo anniversario della nascita



Gabriele D’Annunzio


Nel 2013 saranno celebrati i centocinquant’anni della nascita di un uomo che per l’Italia ha rappresentato un’intera epoca.
Gabriele D’Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863 e morì a Gardone Riviera il 1 marzo del 1938.
Non è compito di questo blog tracciare un bilancio dell’opera letteraria di quest’uomo su cui certamente si riaprirà un dibattito che investirà gran parte della storia d’Italia nel Ventesimo secolo.
La morte di D’Annunzio avviene nel 1938, l’anno cruciale del Patto di Monaco: una finzione consumata ai danni della Cecoslovacchia e della pace nel mondo intero.
Il fascismo stava per trascinare l’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, alleata della Germania di Hitler. D’Annunzio non amava né Hitler né il nazismo, ma nessuno lo ascoltava più e il fascismo, nel tempo, aveva mitizzato la sua figura strumentalizzandola ai suoi fini come alfiere dell’imperialismo italiano.
Il poeta si era rinchiuso da anni in un volontario esilio nella sua villa, il Vittoriale, in cui autocelebrava se stesso e l’epoca che era ormai alle sue spalle.
Il poeta di “Alcyone”, l’autore di “Il piacere” e di “Il Fuoco”, colui che scrisse i testi delle didascalie del film Cabiria, che aveva inventato nomi rimasti nella memoria degli italiani come quello dei magazzini La Rinascente, aveva creato un’immagine inedita, ma fittizia, dell’Italia: da gente povera e rinunciataria, gli italiani dovevano trasformarsi in una nazione di guerrieri. D’Annunzio era l’angelo Gabriele di questa nuovo modo di concepire il ruolo degli italiani nel mondo. Almeno questo lui credeva e di quell’ “annunzio” si fece il portatore. Sappiamo che le cose stavano in modo diverso, ma a questa immagine una parte degli italiani credette. Erano gli appartenenti al nuovo ceto dei tecnici impiegati nella nascente e moderna industria, i funzionari statali, i commercianti, i maestri elementari, i professori, gli ufficiali che comandavano su una grande massa di contadini-soldati, gli studenti provenienti dalle famiglie piccolo borghesi, i giovani che cantavano “giovinezza..giovinezza”, gli arditi, tutti coloro insomma che con la Grande Guerra si sentirono proiettati in avanti per avere, finalmente, un ruolo nella storia. Per la prima volta, dopo i fasti dell’Impero romano e del Rinascimento, le parole di D’Annunzio affascinavano e promettevano un nuovo inizio.

Discorso di D’Annunzio al teatro Costanzi di Roma nel corso della campagna interventista, copertina di Achille Beltrame di La Domenica del Corriere del 23-30 maggio del 1915

I prossimi post verteranno sull’immagine di D’Annunzio nel primo dopoguerra italiano. Il poeta ebbe in quella crisi un ruolo che era  conseguente all’azione svolta per portare l’Italia nel Primo Conflitto Mondiale e inaugurò un modo di essere in cui il gesto era l’atto vitale che precedeva il pensiero. D’Annunzio che fece di se stesso un mito, rompeva lo schema in cui si era auto reclusa la casta degli intellettuali e la sua funzione, come sempre accade a personaggi di questo tipo, fu positiva e negativa insieme. Contribuì ad allargare gli orizzonti culturali degli italiani collegandoli al nuovo modo di sentire europeo e allo stesso tempo fornì un modello ad altri, a quel Benito Mussolini che puntava alla distruzione della fragile democrazia garantita dallo stato liberale dopo l’unificazione della penisola.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando gli italiani cominciarono a risollevarsi dal disastro provocato dal fascismo, la domanda era di rinunciare alle “parole” e di gettarsi nei fatti, nella vita di ogni giorno, a quel tempo così misera e difficile. Per questo motivo Gabriele D’Annunzio divenne un mito negativo, un esempio da non imitare, anche se negli anni settanta molti giovani furono quasi dei dannunziani senza saperlo.
Oggi ricordare D’Annunzio, significa tornare a discutere della storia d’Italia e a questo cercheremo di portare il nostro contributo, come sempre da un “punto di vista” fotografico.   



Nessun commento:

Posta un commento