sabato 11 luglio 2015

La rivolta degli Alpini ad Aosta del 25 e 26 novembre 1915 Terza parte


Elaborazione fotografica a partire da un documento inviato il 27 novembre 1915
Le relazioni stilate in seguito alle indagini compiute sulla rivolta degli Alpini ad Aosta del 25-26 novembre 1915, rendono evidente l'attenzione delle autorità militari e civili per la tenuta dell'esercito a pochi mesi dalla dichiarazione di guerra all'Impero Austroungarico e per quello che un settore ritenuto importantissimo nel quadro più generale dalla guerra: il fronte interno. Ricordiamo che Il Regno d'Italia era entrato in guerra non in un clima di concordia nazionale, ma dopo mesi attraversati da divisioni e scontri di piazza che alcuni studiosi ritengono essere l'anticipazione di un intero ciclo storico che solo in parte si concluderà con la fine della Seconda Guerra Mondiale e del fascismo. 
Artiglieri italiani sotto il fuoco nemico, illustrazione tratta da Le Pays de France 1915

La prima relazione sugli avvenimenti di Aosta è del  Tenente Generale Comandante la Divisione Territoriale, Generale Saverio Nasalli. Il documento, definito "riservatissimo", è inviato da Novara il 27 novembre 1915; l'alto ufficiale è giunto ad Aosta verso le 15 del 26. "Smontato alla caserma Alpina (piazza d'Armi)" scrive "trovai il servizio alla porta regolarmente ristabilito, la guardia si schierò com'era prescritto ecc. ecc., solo indizio del disordine parecchi vetri infranti nella facciata della Caserma e la lampadina elettrica dell'ingresso abbattuta...Alle 15, dei 405 designati a partire, mancavano circa un centinaio, ma ancora se ne andavano presentando alla spicciolata, lasciando in bianco il numero finché avessi cifrato tutto il lungo telegramma, al momento di spedirlo avrei notificato che i mancanti erano 18 (dei quali una piccola parte, dell'alta Valle d'Aosta, si sapeva che erano partiti con l'automobile postale e ordine era stato telegrafato ai Carabinieri di arrestarli)." Apprendiamo qui che tra i coinvolti nell'ammutinamento, ci sono anche dei  valdostani che forse hanno cercato di raggiungere le loro case nei villaggi dell'alta Valle. Coloro che sono rientrati in caserma sono calmi, alcuni intontiti dall'effetto "ritardatario del vino", altri, tristi e spaventati dopo un eccesso, scrive l'ufficiale, di cui si cominciano a capire le conseguenze.  Il comportamento degli ufficiali è stato nel complesso buono, ma di alcuni si sottolinea l'inesperienza. "Il Tenente Colonnello Conti Comandante del Deposito fu all'altezza della situazione. Partì con Maggiore, appena promosso, Gagliardi, convalescente a Ivrea e recante ancora i distintivi di capitano (noto nel reggimento per due medaglie al valore) e coi due migliori sottotenenti che aveva disponibili, e appena giunto rimise l'ordine nelle due caserme...coordinò l'opera degli ufficiali di Aosta, che non era stata deficiente ma disordinata e non molto efficace per mancanza ancor più di pratica e di autorevolezza per impulso centrale." Viene escluso il complotto."Occorre premettere che gran parte dei 400 partenti erano già stati al fronte e ne erano tornati feriti, alcuni anche due volte e V.E. probabilmente sa come sia intimo pensiero, non solo degli alpini, ma, a quel che dicono i medici e la Croce Rossa, di tutti i militari feriti, che un soldato ferito ha pagato il suo tributo e che quindi egli non è più tenuto ad altro. (Constato naturalmente, comprendo anche, ma non approvo)." 
Aosta, Piazza della Repubblica. Nel 1915 questo luogo, posto fuori dalla cittadina, si chiamava Piazza d'armi e qui sorgevano le caserme da cui partì la rivolta degli Alpini
La constatazione, la comprensione e la dovuta disapprovazione dell'ufficiale rientrano in un atteggiamento mentale prudente di chi ormai ha capito che la guerra non sarà così breve come è stato promesso e come in molti continueranno a sostenere. L'accenno alla Croce Rossa è interessante perché si cerca di entrare nella psicologia del soldato, un essere pensante che invece dovrebbe essere spogliato del tutto della sua personalità. Ci riferiamo alle idee di Cadorna su come dovesse essere organizzato l'esercito e alle riflessioni di Padre Agostino Gemelli, analizzate dallo storico Antonio Gibelli in "L'officina della guerra", Ed. Bollati-Boringhieri. Il vino gioca parte importante nella rivolta. "Pochi avvinazzati, poco buoni soldati e più malcontenti, manifestarono ad alta voce questo sentimento che trovò un'eco facile e consentaneo negli altri non meno avvinazzati e in breve tempo la collera del vino si sviluppò ad alta tensione." Al di là del vino, c'è sicuramente qualcosa che cova nell'animo dei soldati; l'ufficiale descrive le misure preventive che però non evitano il malcontento."La truppa, come pratica sempre il 4° Alpini, per evitare il prolungarsi di una situazione che si risolve nelle grandi bevute e nelle ubriacature negli alpini e in Piemonte, era stata avvisata della partenza il giorno stesso dopo una marcia. La partenza doveva avvenire alle ore 6 del mattino del 26 e la sveglia alle ore 3. Alla ritirata mancavano 150 individui." E' questo il momento in cui scatta la rivolta."L'ufficiale di servizio che andava e veniva fra le due Caserme, un Ufficiale del Battaglione di M.T. che notò dei gruppi, il Maresciallo dei R.R. C.C.  con qualche milite, avviarono con qualche difficoltà circa 100 alle caserme. Verso la mezzanotte un gruppo di circa 50 aveva cominciato a gridare abbasso la guerra e che era composto dai più avvinazzati, affrontati da pattuglia all'arma (per la quale gli alpini hanno marcata antipatia) si ribellò alle ingiunzioni e qualcuno estrasse anche la sciabola baionetta con minacce che ieri si dicevano verbali ma che non stupirei risultassero poi anche materiali. L'ufficiale di servizio accorso, tentò anch'egli di vincere i riottosi ma questi abbandonato l'Ufficiale si portarono in gruppo alla caserma alpina e si precipitarono in massa urlando, ed impadronitisi degli alpenstock, bastonando i meno pronti, obbligarono gli altri ad alzarsi e uscirono con loro. Una volta usciti si sviluppò questa follia inevitabile in una massa di 400 individui ubriachi di cui alcuni ubriachi fradici. Ruppero i vetri della facciata, nell'uscire in frotta rovesciarono la garitta della sentinella e portatisi in città ruppero un lastrone di un negozio e due vetri della Sotto prefettura (questo lo seppi dopo spedito il telegramma) e tentarono, ma invano, di far riaprire le osterie battendo violentemente a quelle porte e a quelle anche di cittadini più disgustati che impauriti. Mentre il chiasso svegliava gli ufficiali alloggiati alla "Corona", ufficiale di servizio vistosi impotente da solo era corso a svegliare il capitano di fanteria Ponti Consegnatario del Magazzino che primo affrontò gli ammutinati senza alcun risultato ma senza ricevere alcuna offesa. Gli altri ufficiali intervennero pure, ma l'impressione mia è che al primo momento tutti persero alquanto la testa compreso il sottoprefetto e ciò produsse i telegrammi allarmanti ricevuti, pei quali la città pareva preda di rivoltosi. L'inchiesta potrebbe ancora rivelare qualche parziale deficienza negli ufficiali, ma la mia impressione è che vi fu inesperienza da parte loro e inefficacia dovuta alla poca autorevolezza, necessaria per tutte le truppe ma più per queste, speciali per carattere e abitudini locali." L'ammutinamento assume così i caratteri di una rivolta spontanea che non sembra avere alcuna testa politica furochè l'idea di non voler più tornare in trincea. I soldati sanno cosa li aspetta e la rabbia si manifesta nel solo modo possibile: la disobbedienza a giovani ufficiali mal addestrati e freschi di nomina, l'astio nei confronti dei carabinieri, la devastazione dei simboli di tutto ciò che è militare e, in primo luogo, la caserma. 
Elaborazione fotografica a partire dal documento inviato il 27 novembre 1915
Le ultime righe del rapporto contengono una constatazione di tipo militare sulla guerra in corso e un'altra di carattere politico. "Credo per ultimo far osservare che il 4° Alpini passa in paese e fra i soldati per il reggimento che ha avuto le maggiori perdite fra tutti i reggimenti alpini. Si dice insistentemente che il Reggimento abbia avuto 8.000 fra morti, feriti, dispersi (non credo sia la cifra esatta, ma so che la cifra vera è molto elevata). Le perdite essendo locali come i soldati... questo discorso ripetuto in ogni conversazione ribadisce nei soldati e anche famiglie il falso concetto che il ferito abbia pagato un contributo non rinnovabile. Malgrado ciò l'elemento Valdostano non avrebbe fatto nulla se ad esso non fossero mescolati operai del Biellese di cattivo spirito militare e anche quelli di Aosta. Questa è convinzione degli ufficiali, di cui nessuno è valdostano, e mia.". *
Nella quarta e ultima parte di questa serie di post dedicati agli avvenimenti aostani del novembre 1915, esamineremo la relazione stilata dal Commissario di P.S. Tabusso in cui sono esaminate la situazione politica ad Aosta e il trattamento degli Alpini nelle caserme.
*Archvio Centrale dello Stato Presidenza del Consiglio dei ministri "Aosta-Ammutinamento del 4° reggimento"

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