sabato 11 luglio 2015

La rivolta degli Alpini ad Aosta del 25 e 26 novembre 1915 Quarta e ultima parte

Copertina della rivista Il Mondo del 1916 con una fotografia in cui posano gli Alpini in atteggiamento da combattimento
Da Torino giunge ad Aosta il Commissario di P. S. Odilio Tabusso, invia i risultati dell'inchiesta al Prefetto Verdinois in data 29 novembre. Nel fascicolo conservato presso l'Archivio Centrale dello Stato. Presidenza del Consiglio, il documento è autografo e Tabusso cercando di ricostruire le vere cause dalla rivolta, traccia anche un panorama ampio dell'atteggiamento dell'elite valdostana nei confronti della guerra."...Si era in principio ritenuto che i riprovevoli fatti"scrive Tabusso" fossero il frutto di un preordinato accordo, circostanza questa più assodata dalla considerazione che quasi tutti i dimostranti erano affiliati a partiti manifestamente contrari alla guerra. Sta invece che le cause delle mai abbastanza lamentata violenta dimostrazione sono da ricercare nell'ambiente militare in cui gli alpini hanno passato il tempo dopo il loro ritorno dal fronte per ferite e malattie colà incontrate." Tabusso punta l'indice sul trattamento subito dai reduci dal fronte nelle caserme di Aosta ed esclude l'influenza del socialismo neutralista o del partito clericale, tracciando un quadro della situazione aostana in cui emerge la fragilità delle organizzazioni operaie. "Non l'elemento operaio che anche nei tempi ordinari è ridotto, nella stagione invernale, ai minimi termini; non l'opera deleteria degli affiliati ai partiti estremi che qui non può e non deve essere presa sul serio, giacché il partito popolare e socialista anche prima che scoppiassero le ostilità con l'Austria nel suo giornale di classe Le Mont Blanc non ha mai fatto opera di disgregazione ma tenne una linea di condotta interventista. Non la propaganda privata o pubblica perché qui mancano le leghe, i circoli e le associazioni politiche...". 
Elaborazione fotografica a partire dalla relazione del Commissario Odilio Tabusso
Tabusso analizza la stampa locale che sembra perfettamente allineata con il nuovo clima determinato dall'entrata in guerra dell'Italia. "E neppure la stampa locale, specie in questi ultimi tempi, ha nei suoi articoli scritto vivacemente contro la guerra. I quattro periodici ..., Le Mont Blanc, già nominato, Le Pays d'Aoste, la Doire e Le Duche d'Aoste, che del resto non sono letti dai soldati, specie di altre regioni, e su di essi non possono quindi esercitare influenza alcuna, non hanno mai stigmatizzata o deprecata la nostra guerra. Le Ducheé d'Aoste e Le Pays d'Aoste, organi del partito clericale, notoriamente non interventista, prima che si aprissero le ostilità e anche a guerra dichiarata e combattuta hanno bensì avuto qualche articolo leggermente accentuato in senso pacifista, ma in seguito e specie in questi ultimi tempi hanno modificato la loro linea di condotta dando ampi[...] anche ad articoli e corrispondenze di soldati che stanno combattendo al fronte, articoli di entusiasmo per la guerra." Dopo aver escluso i socialisti e i giornali locali, Tabusso salva anche la cittadinanza di Aosta che "nessuna parte, anche indiretta, ebbe pure negli incresciosi incidenti la popolazione di Aosta: tutta la cittadinanza si è mostrata estranea al fatto, stigmatizzando l'accaduto e non confondendosi e questo è stato constatato de visu anche dallo scrivente[..]. Si hanno quindi solo cause intrinseche all'elemento militare." Tabusso su questo punto sembra molto informato: i soldati parlano con la gente e tra loro, si chiacchiera anche con quelli che sono di stanza ad Aosta e non avrebbero dovuto partire. Tabusso non risparmia il comportamento degli ufficiali che nelle relazioni stilate dai militari era descritto come dettato solo dall'inesperienza. "E' voce comune in città, e ciò è stato confermato nei diversi interrogatori da me fatti a persone che più avvicinarono i soldati, che la dimostrazione ebbe origine innanzitutto dalla mancanza assoluta della disciplina e dalla inettitudine, è doloroso dirlo, del capitano di fanteria Ponti (?) notoriamente contrario alla guerra (egli stesso riuscì ad ottenere di non partire pel fronte) e comandante interinale del presidio e degli ufficiali subalterni di complemento troppo legati da amicizia, e quindi arrendevoli coi loro dipendenti. Ma altre cause più gravi hanno dato luogo alle scenate. Il cattivo trattamento fatto ai soldati in caserma, sia i feriti e i convalescenti che non verrebbero trattati coi dovuti riguardi dagli ufficiali medici, sia agli altri soldati che mancherebbero, per la poca esperienza degli ufficiali richiamati, qualche volta del vitto o del caffé o non avrebbero delle coperte o paglia insufficiente per dormirci sopra. Quest'ultima anzitutto è stata la causa occasionale, il pretesto dei fattacci. Alla vigilia della partenza pel fronte erano state tolte ai soldati, per timore che andassero poi perdute o disperse, le coperte di lana da letto. Ne conseguì che gli alpini dopo avere bevuto parecchio e fatte le note peregrinazioni per la città, sapendo di dover tornare ai quartieri, al freddo, e nella notte del 25 al 26[...]questo era intenso, per le cause già accennate ed anche perché malvolentieri ritornavano per la 2° o la 3° volta al fronte, iniziarono, specie qualche soldato ancora non completamente guarito e rimessosi in salute, la turbolenta dimostrazione, prima in pochi e poi in numero considerevole perché i più violenti, fatto ritorno in quartiere erano riusciti a far fare, anche con la minaccia di lesioni e danni personali, causa comune agli altri che già si erano ritirati. Che la cosa non fosse preordinata lo dimostra il fatto che buona parte degli alpini, poche ore prima della dimostrazione avevano scritto lettere alle rispettive famiglie mandando loro notizie dell'imminente partenza; erano andati a salutare le persone di loro conoscenza e qualcuno anche aveva fatto acquisti di generi alimentari di prima necessità e perfino[...]di inchiostro e di carta da lettera perché dicevano essi, difficilmente in trincea ne avrebbero trovata. Le cause dei disordini sono quindi precisamente quelle dianzi accennate per quanto l'autorità militare, e se ne comprende la ragione, non voglia forse accennarle e ammetterle; e poiché mi[...], per averlo appreso da persone degne di fede, che anche fra gli alpini sciatori che attualmente si trovano per l'istruzione a Courmayeur ed in altre località del circondario, e che fra non molto rientreranno in Aosta, serpeggia un vivissimo malumore per i non buoni trattamenti cui devono sottostare da parte dei loro superiori, segnalo la cosa alla[...]per quelle determinazioni rese necessarie dall'importanza del momento attuale. Con il massimo ossequio. Il Commissario di ps Tabusso"*
Elaborazione fotografica a partire dalla relazione Tabusso
In vino veritas! Dicevano i romani. Nel vino allora, questa miscela etilica in grado di eliminare le inibizioni e le paure, si riversa la rabbia a lungo repressa che esplode improvvisamente nella rivolta e nella voglia di spaccare tutto, di distruggere i simboli del potere. L'antico borgo di Aosta, dove sembra che non succeda mai niente se non acerrime beghe tra notabili, vive una notte brava in cui per una volta 400  esseri umani dicono che della guerra ne hanno abbastanza. Ci chiediamo: è possibile che in 400 siano tutti ubriachi? Forse qualcuno è cosciente di quello che sta facendo e per il momento non sa come finirà, a quanti anni di galera verrà condannato, magari dopo la fine della guerra e a vittoria conseguita. Nella relazione scritta e firmata da Odilio Tabusso su questo modesto episodio di insubordinazione nelle lontane retrovie del fronte sembra esplicitarsi un contrasto tra il potere militare e quello civile che si accentuerà sino alla disfatta di Caporetto. A mettere una parola fine a questa vicenda è il Ministro della Guerra Zupelli con una relazione inviata al Presidente del Consiglio Salandra in cui si fa propria la tesi del vino scatenatore dei tumulti, ma entra in campo un elemento nuovo che non avevamo ancora sentito menzionare: una scala. La data del documento è il 12 dicembre 1915. "... una scala rinvenuta al lato esterno del muro di cinta della caserma, lascia supporre che molti, dopo essere rientrati, abbiano di nuovo abbandonata la caserma scalando il muro. Verso la mezzanotte un gruppo di un centinaio circa di soldati alterati dal vino si trovò riunito al centro della città e si dette a schiamazzare, gridando "abbasso la guerra! abbasso la camorra! non vogliamo più partire! vadano un po' gli altri non sempre noi!" volendo alludere ai soldati della milizia territoriale di fanteria che erano sempre rimasti in paese. Non valsero le esortazioni degli ufficiali accorsi a calmarli e a farli tornare in caserma. Una pattuglia dei carabinieri fu aggredita e costretta a ritirarsi. Quindi la turba urlando, fischiando e scagliando sassi, si diresse verso una delle caserme, ruppe i vetri delle finestre, rovesciò la garitta, sfondò il portone, si scagliò all'interno, infranse le lampade elettriche, aprì le porte delle prigioni per liberare i puniti, salì nelle camerate, svegliò i soldati e minacciando e gridando: fuori i crumiri! fuori i vigliacchi! comandiamo noi! li costrinse fuori della caserma e a seguirla. Poi si recò all'altra caserma  e ripeté lo stesso chiasso, gli stessi tumulti, gli stessi atti di vandalismo. Due ufficiali che tentavano di nuovo di sedare i riottosi furono accolti a fischi, a sassate. Poi i tumultuanti si diressero alla stazione ferroviaria, ruppero vetri e fanali e costruirono delle barricate sui binari per impedire ai treni di partire. Frattanto si erano fatte le quattro e un po' di calma cominciò a entrare in quegli animi esaltati. Alcuni gruppi vennero a miglior consiglio e dando al fine ascolto all'esortazione degli ufficiali rientrarono in caserma. L'esempio fu di mano in mano seguito da altri. Alle 9 risultarono quasi tutti rientrati. Alla chiamata mancavano solo 24 individui. La partenza per la zona di guerra si effettuò poi alle 19, ed avvenne col massimo ordine. Anche il viaggio fino a destinazione non dette luogo ad alcun incidente. Furono trattenuti ad Aosta 24 militari, ai quali, come maggiormente compromessi nei disordini, furono denunciati al tribunale militare di Torino per i reati previsti dagli articoli 115,116, 228 e 230 del Codice Penale Militare. L'inchiesta ha pure accertato che alcuni ufficiali mancavano di previdenza e di prontezza o non usarono tutta l'energia che sarebbe stata necessaria: e questi furono disciplinarmente puniti. Ma non fu possibile assodare se l'opera di sobillatori abbia avuto parte nei disordini. Ma certo deve avervi contribuito l'ambiente in cui i militari tornati da fronte vennero a trovarsi, in mezzo ai parenti e ai compaesani che li commiseravano, lontani da quegli alti incentivi che si acquistano sul campo dell'azione. Il Ministro Zupelli (firma autografa)"
La Stazione di Aosta oggi
Sui motivi di ribellioni come quella di Aosta si è soffermata la riflessione degli storici. In"Soldati e prigionieri italiani nella Grane Guerra, Giuliana Procacci scrive: "Le tre principali ribellioni che si verificarono nell'inverno del 1915, ad Aosta, a Sacile, a Oulx, tra reparti di alpini che stavano per partire per il fronte, dipesero dal fatto che i soldati ritenevano di avere diritto a un più lungo periodo di riposo; sui turni e licenze mancava infatti ogni uniformità di trattamento e poteva anche accadere -come avvenne- che ad alcuni reparti fanteria non fossero concesse licenze per oltre due anni o che restassero in trincea per dieci e più mesi. Tuttavia se il motivo scatenante era la convinzione che fossero stati ingiustamente lesi dei diritti, spesso però la protesta sfociava in esplicite manifestazioni di avversione alla guerra, e di aperta ostilità contro lo Stato e le sue istituzioni...A differenza dei soldati italiani, inglesi e francesi distinguevano gli immediati responsabili dei massacri, che condannavano, dalle istituzioni politiche del paese, che non venivano mai messe in causa, e per difendere le quali essi accettavano di combattere..."
Come reagì lo Stato dinanzi alle ribellioni di Aosta, Sacile, Oulx?
Sempre Giuliana Procacci, dopo aver descritto brevemente i fatti accaduti in particolare ad Aosta, tratteggia l'atteggiamento dei gruppi dirigenti che scelsero una sola strada: "Altri episodi si verificarono nei mesi successivi, senza però raggiungere i livelli di quelli descritti. In seguito agli avvenimenti di Sacile (in cui i rivoltosi avevano esploso in aria colpi di fucile nda.) infatti, Cadorna aveva scritto a Salandra la già ricordata lettera del 14 gennaio 1916, nella quale si era espresso contro le sentenze che contemplavano solo l'ergastolo, e a favore delle condanne a morte: poiché gli elementi di accusa erano spesso solo indiziari (come appunto nel caso di Sacile), Cadorna aveva deplorato che il codice non prevedesse la facoltà della decimazione, all'uso della quale, in seguito agli sbandamenti legati all'offensiva nemica del maggio 1916, come già vedemmo, autorizzò e incitò i comandanti, che la misero spesso in azione, inducendo pertanto i sodati a desistere da atti di protesta."[da Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra di Giuliana Procacci, pagg. 98-99, Ed. Bollati Boringhieri, 2000]

*Nel 1922, il giorno dopo la marcia su Roma, il Commissario Odilio Tabusso, diventato nel frattempo vice-questore di Torino, assiste compiacente alla devastazione della sede del giornale comunista "L'Ordine nuovo" da parte delle squadre fasciste. Era presente anche il commissario Mariano Norcia che era al comando di reparti del 91° fanteria. Nessuno intervenne in difesa della sede del giornale fondato da Antonio Gramsci. [Informazioni tratte da: http://www.anppia.it/news/2013/12/18/novantuno-anni-fa-a-torino-la-strage-del-XVIII-dicembre/] 

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